Goalkeeper, 1976
Vi è un rapporto tra arte e verità? Nel caso, come si articola questo particolare rapporto? La filosofia contemporanea ha molto contribuito a confondere e ridimensionare il concetto di verità. A partire dal “Il pensiero debole” di Gianni Vattimo pubblicato nel 1988. Al pragmatismo deviante di matrice statunitense dei filosofi dell’arte che ricorrono a forzature ontologiche che sembrano cancellare millenni di filosofia riflettente. Nel 2005 due filosofi americani, Pascal Engel e Richard Rorty pubblicarono: “A cosa serve la verità?” In pratica misero in discussione lo stesso valore della verità.
Gli artisti dal canto loro hanno, da almeno un secolo, iniziato un lungo percorso verso il nulla ontologico.
Heidegger sostiene tre tesi che caratterizzano la concezione tradizionale dell’essenza della verità e l’opinione circa la sua prima definizione: 1) Il luogo della verità è l’enunciato (il giudizio). 2) L’essenza della verità sta nella concordanza del giudizio con l’oggetto. 3) Aristotele, il padre della logica, ha da un lato attribuito la verità al giudizio , come suo luogo d’origine, e dall’altro ha varato la definizione della verità come concordanza. Se la verità consiste nella adeguazione di una conoscenza al suo oggetto, tale oggetto deve per ciò stesso essere distinto dagli altri; una conoscenza è falsa se non si adegua all’oggetto a cui è riferita, benché contenga qualcosa che potrebbe a ragione valere per altri oggetti. Nella introduzione alla “Dialettica trascendentale”, Kant dice:” Verità e parvenza non sono nell’oggetto in quanto intuito, ma nel giudizio su di esso in quanto pensato”
Cosa significa: concordanza? La concordanza di qualcosa con qualcosa ha carattere di relazione di qualcosa con qualcosa. Ogni concordanza quindi è anche la verità, è una relazione. Ma non ogni relazione è concordanza. Un’opera d’arte che riproduce un paesaggio o una persona, ha necessariamente relazione con il paesaggio o alla persona che, comunque immaginati, hanno tratti di riferimento certi. Viso, alberi, prati, case, che sono riprodotti ma non hanno contenuto di verità, sono prodotti dell’immaginazione.
Picasso in una intervista del 1923 definì l’arte:” Una bella menzogna in grado di portarci alla verità”. Una opinione tra le molte facili definizioni che finiscono in stereotipi ripetuti all’infinito. A parte i truismi di Picasso, il sopravalutato divo dell’arte del secolo scorso, Horkheimer e Adorno in “Dialettica dell’illuminismo” affrontano con ben altri strumenti il problema dell’arte considerata nell’ottica del nostro tempo che arriva a considerare la verità una forma di superstizione, Concetto che gran parte del mondo dell’arte accetta, aprendo così la via alle brutture che sono seguite.
Il linguaggio e la logica non creano il significato. Il linguaggio descrive il significato di ciò a cui si riferisce. La logica ha la sola funzione di ordinare parole e significati. Usare il linguaggio in modo errato significa presupporre un significato che non esiste. Questo uso decettivo del linguaggio è il fondamento di ciò che definiamo menzogna.
Nel linguaggio dell’arte il tema è più articolato. Le singole opere possono realizzare la rappresentazione banale della realtà, street art, e opere di Jeff Koons, addirittura opere senza significato. Ecco allora che si rende necessario l’intervento del critico o del filosofo, i quali spesso non illustrano il significato dell’opera, lo creano.
Il critico e il filosofo fanno quindi ricorso alla menzogna. E’ possibile vi possa essere buona fede, ma in questo caso buonafede e ignoranza coincidono. L’articolazione tecnicamente colta della narrazione può assumere l’apparenza di verità, tale narrazione crea la suggestione a chi leggerà il loro testo. L’uso di concetti non provati che per generazioni hanno usurpato la dignità dell’arte creando finzioni ermeneutiche prive di senso.
All’angoscia di una società liquida, priva di futuro, gli artisti rispondono realizzando nani da giardino ed esibizioni del corpo nei suoi aspetti più laidi e sgradevoli. Oppure l’arte ridotta a livello della pubblicità e del consumo di massa, aspetti di cui copia le modalità.
Giuseppina Giordano presenta la sue opere in mostra sugli scaffali di supermarket. Damien Hirst espone la prima versione di Pharmacy alla Galleria Cohen di New York. Arte che fa il verso alle compulsioni da consumo.
Forse Pitagora, considerato il creatore della parola “filosofia” avrebbe disapprovato i procedimenti con i quali molti filosofi giustificano certe espressioni artistiche,non avrebbe considerato i loro testi filosofia, ma elucubrazioni nelle quali filosofi, specie di matrice statunitense,esibiscono una pseudo cultura ad esclusivo beneficio del mercato.
Per Senofonte stabilire un ordine di valori, non basta l’esperienza sensibile, tanto meno l’accettazione sociale, ma è necessaria una riflessione morale già altamente critica.
L’aspetto che riguarda l’arte astratta,in questo caso l’opera non esprime alcun significato, la fruizione dell’opera è affidata all’emozione del colore steso sulla tela, la questione è relativa alla lettura emotiva dell’opera,tema di attualità sul quale ,è stato scritto molto.
Non c’è dubbio che le avanguardie hanno fruito in modo notevole del supporto della critica e filosofia che con i loro scritti hanno contribuito ad alimentare eccessi che, a partire dall’inizio del secolo scorso, hanno inquinato il mondo dell’arte. Senza il supporto della letteratura critica e filosofica sicuramente taluni fenomeni artistici non avrebbero mai avuta l’eco che hanno avuta nella società di massa disposta ad accettare tutto ciò che provoca e diverte, senza remore di carattere culturale.
Dove maggiori sono l’inquietudine e il dubbio nella nostra cultura e nella nostra società; e quando anche i programmi di una cultura e di una società nuove sembrano inadeguati; allora incontriamo le parole che indicano il nodo non sciolto, il viluppo inestricabile. Queste parole sono: diffidenza, anormalità, emarginazione, esclusione. L’enfatica invocazione all’uguaglianza degli uomini resta ipocrita e contraddittoria perché si fonda su una presunta regola e norma che ignora ordine e valori superiori all’esperienza sensibile che ha il corpo come riferimento primario, Ciò conduce all’ anarchia sociale nella quale l’etica è soppressa.
Per Cudworth il sentimento etico è innato ,egli sostiene che agiamo in modo sbagliato quando non ascoltiamo la coscienza. L’esperienza ci dice che, purtroppo, la coscienza non è sempre attiva nel far sentire le proprie indicazioni.
E’ lo scoglio che ogni illuminismo incontra sulla sua strada. Intorno a esso molto si è discusso e si continua a discutere, ma sempre, rifacendoci a principi di carattere generale, insomma cercando di dialetizzare, superare, dissolvere, i problemi che non sappiamo risolvere, includiamo nel discorso il tema “differenza” solo come pretesto di decettive manipolazione della realtà.
Il pensiero critico di Adorno e Horheimer ha affrontato la questione della libertà sociale, tralasciando la libertà individuale. Lo snodo sta nella prassi che porta a disattendere, anzi a negare la validità delle regole, senza le quali non può esistere una società che possa dirsi civile e giusta. E’ difficile conciliare soggettività che la rimozione delle regole incrementa. Il mito della libertà si scontra con la realtà di esistenze difficili e una sempre più problematica realtà sociale.
I giovani tentano di far sentire la loro voce ipotizzando una migliore e più libera società. La loro presa di posizione suscita molti interrogativi, anche perché contrasta con i loro comportamenti e la mancanza d’impegno.
D’altra parte il livello dell’insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado e nelle università è carente. Vi è un eccessivo lassismo pedagogico che finisce per penalizzare i migliori. Docenti impreparati, orientati e condizionati dal pensiero unico secondo cui l’etica è null’atro che retorica che appartiene al passato. Gli intellettuali si considerano progressisti mentre si richiamano a teorie sclerotizzate e non sempre comprese, ma soprattutto sono privi di dignità e valori. .
. In molti sembrano avere rinunciato alla speranza di una società migliore, non basta contestare senza preoccuparsi di acquisire la conoscenza necessaria per incidere davvero sui processi sociali.
Per questo il richiamo alla libertà ha spesso motivazioni sbagliate, ingannevoli specie nei confronti dei giovani.
Nel campo dell’arte assistiamo al disastro provocato dalle avanguardie la cui “libertà creativa” si è rivelata un fallimento totale, e ha portato al dominio del mercato e il cattivo gusto.
Nel libro “Introduzione all’etica” , Edmund Husserl affronta, tra l’altro, il tentativo di definizione o confronto, della cultura, pratica e teoretica. Il tema, in forma e con intenti diversi, è stato trattato da Snow Charles Percy in un libro pubblicato nel 1980 con il titolo “Le due culture”.
Oggi forse l’argomento è di minore attualità dal momento che la cosiddetta cultura umanistica ha lasciato il posto alle dottrine tecniche.
La filosofia ha di fatto rinunciato ad essere la coscienza critica della società, impiegata piuttosto nel giustificare la deriva etica. Il pensiero debole è uno dei percorsi verso l’abbandono di tutto ciò che costituiva l’impalcatura di sostegno alla fragile società umana, l’osservazione del dato cognitivo dell’esperienza.
Le discipline tecnologiche, più in generale scientifiche, si sono sottratte alla valutazione etica e per certi aspetti anche alla ragione, intesa nel senso più ampio, cioè non concentrata sul risultato immediato. Il settore in cui è più palese la cecità della scienza è testimoniato dalla distruzione dell’ecosistema.
Un altro campo in cui emerge lo spregevole cinismo della civiltà, è quello degli armamenti. Mentre una larga parte del pianeta soffre la fame e le conseguenze delle malattie, sono state destinate risorse enormi per l’invenzione e la produzione di armi sempre più sofisticate e letali. Tutto sempre declamando il rispetto dei diritti dell’uomo e la sacralità della democrazia.
E’ chiaro che, vista la situazione, qualsiasi interesse al campo dell’arte appare come pretesto di distrazione. Ma, per ritornare al riferimento iniziale, anche l’arte ha abbandonato il principio teoretico, cioè la cultura “inutile” come la definiva Bertrand Russel, per adottare la tecnologia e le modalità di creazione della realtà virtuale.
Husserl sembra aver realizzato che la distinzione tra cultura pratica e cultura teoretica finisce per essere questione di lana caprina. Il bisogno di cultura, senza distinzioni, nella società è venuto meno. Ci sono stati ingegneri che hanno creato capolavori letterari, giuristi che hanno creato opera d’arte meravigliose, medici che hanno indagato le profondità della coscienza umana. Tutti costoro attuavano autonomamente la distinzione tra conoscenza delle tecniche professionali, e il bisogno di coltivare la sensibilità nutrita dalla cultura umanistica senza la quale ogni vera cultura è chimera.
I grandi artisti greci per lo più nutrivano la loro immaginazione con la narrazione dei miti dei grandi filosofi presocratici. Fu fonte di ispirazione la narrazione di Esiodo: “Opere e i giorni”, grande poeta e narratore appartenente alla antichissima produzione della scuola beotica.
Ferecide altro grande creatore di miti. Acusilao, le cui genealogie in prosa sembra però fossero soltanto una replica di Esiodo
Cercare dì interpretare gli antichi miti è un’impresa a cui si sono dedicati generazioni di studiosi,dando interpretazioni e versioni diverse, anche perché quell’antica cultura è giunta a noi solo attraverso frammenti. Ciò nonostante anche la cultura dei filosofi che sono succeduti ai presocratci, Platone e Aristotele in primis, si è nutrita della antica mitologia.
Il richiamo a questa antica cultura ha il senso di marcare la differenza tra ciò che nutriva l’ispirazione dei grandi artisti dell’antica Grecia e gli artisti contemporanei.
Ciò che oggi chiamiamo cultura costituisce invenzione, l’esercizio di un imperfetto uso della memoria. Il discorso sull’arte trascura l’importante riferimento all’origine che non consiste nella sofistica elaborazione di Heidegger contenuta in “L’origine dell’opera d’arte” ( 1950)
Andando con il pensiero all’infanzia della civiltà emerge chiaro l’abisso che ci separa dalla profonda cultura che ispirava gli artisti dell’antica Grecia che hanno creato opere d’arte immortali. Dovremmo renderci consapevoli che immaginazione e creatività non sono affatto soggette al progresso, al contrario, proprio l’ansia di progresso ha prodotto l’orrido vuoto del pensiero contemporaneo.
Dovremmo avere la consapevolezza che l’esistenza è il percorso dall’innocenza all’esperienza. In questo percorso si va incontro alla inevitabile contaminazione. La civiltà dei consumi è la conseguenza di questa contaminazione il cui prodotto è una finta libertà priva di significato.
Già Thomas Man aveva, in più libri, affrontato il tema dell’artista, privo di coscienza critica e per questo incapace di creare. Andiamo quindi incontro alla civiltà nella quale la realtà è sostituita da simulacri, tema affrontato da Jean Baudrillard.
Anche la filosofia e critica d’arte sono permeate dalla stessa superficialità,quella che Heidegger definitiva: la verità sottoposta alla soggettività del giudizio. In questo modo viene usurpata la dignità del problema dell’arte
La prima opera d’arte astratta fu presentata da Wassilj Kandinskj nel 1910. Kandinsky era un giurista di grande cultura. Accompagnò la presentazione della sua opera con una esposizione tematica di profonda spiritualità. Suo nipote, il filosofo hegeliano Alexandre Kojève scrisse un libro nel quale dette una lettura delle opere di Kandinsky di notevole spessore filosofico.
Da allora l’arte astratta ha dilagato, ma soprattutto, l’arte astratta, demolendo in qualche modo le teorizzazioni della critica d’arte sull’arte figurativa, ha aperto un varco che ha provocata la deflagrazione dei più deleteri fenomeni artistici.
Come conseguenza la questione del valore dell’opera è andato sfumando nell’infittirsi di teorie ermeneutiche basate sull’assunto che il valore passi attraverso l’esperire soggettivo. A rendere più problematica la lettura dell’opera, in questi ultimi anni si è innescata la diatriba che verte sul quesito: l’opera d’arte è meglio recepita attraverso l’approccio emotivo o attraverso l’esame critico basato sulla ragione? Tramite questa domanda la psicologia è entrata a gamba tesa nel campo dell’interpretazione dell’arte, le categorie valoriali sono state radicalmente capovolte.
Così l’edonismo ha finito per prendere il soppravvento anche nel campo dell’arte assumendo l’aspetto di uno scetticismo di maniera che non tiene in nessun conto la vera radice dello scetticismo logico-teoretico- conoscitivo,tema che risale ad Aristotele, il quale nella Etica Nicomachea criticava la visione edonistica dell’arte di Eudosso .
A proposito dell’edonismo materialista significativa l’affermazione di Goethe su Shakespeare :” Nessuno ha disprezzato il costume materiale più di lui; egli conosce benissimo il costume interiore degli uomini”.
Come possono il brutto e disarmonica suscitare piacere estetico? Nietzsche sosteneva che :“ Le cose più nobili ed elevate non agiscono affatto sulle masse”. Siccome però il consenso è il concime del potere, meglio assecondare le masse, anche in base al principio che divertire è più facile che educare.
I filosofi che si sono occupati di etica hanno fatto distinzione tra etica del sentimento ed etica della ragione. Il sentimento attiene alla sensibilità e privilegia impulsi individuali.
Sofocle affrontò il tema in Antigone dove narrò del confronto tra Antigone, sorella di Edipo, che si battè strenuamente per ottenere che Creonte concedesse la sepoltura a suo fratello Polinice.
L’etica del sentimento, vale a dire della preminenza dell’emotività, concerne anche l’arte, nell’approccio emotivo e nella lettura delle opere. Il tema è stato trattato di recente nel libro “ La tirannia delle emozioni” di Paolo D’Angelo.
Per Shafterbury, teorico dell’etica del sentimento, la morale è un’estetica delle inclinazioni. Il gusto deve essere integrato dalla cultura. Quale cultura?
Vale l’affermazione dello stesso filosofo: “ Il bello è indice di perfezione”.
Cumberland, altro esponente dell’etica del sentimento, afferma che vi è coincidenza tra virtù e felicità. Questo, mi si passi la boutade, spiegherebbe perché c’è tanta infelicità nel mondo contemporaneo.
E’ chiaro che l’etica del sentimento accantona la ragione come guida verso la comprensione delle norme che regolano i rapporti interpersonali e sociali a prescindere dalle ragioni eidetiche.
L’uomo contemporaneo, non solo ha eliminato da lessico e prassi i sentimenti nobili come virtù, dovere, responsabilità, ma ritiene che la civiltà sia basata sui diritti individuali di qualsiasi genere. Va da se che i diritti, per concretizzarsi, comportano in primo luogo che non ledano il rispetto del prossimo e della società. Sappiamo che così non è.
Da cosa è determinato il comportamento pratico delle masse? Di recente un gruppo di studenti ha manifestato in corteo contro il merito, per costoro era un loro diritto non essere giudicati in base al merito. L’uomo dovrebbe essere motivato verso qualcosa che lo renda capace di affrontare le difficoltà che la vita presenta. Invece prevale un sentimento edonistico. L’arte riflette questa tendenza.
David Hume Fu forse il più grande degli spiriti critici della insorgente modernità. Nella sua opera, “Trattato sulla natura umana” , travalica lo psicologismo di Locke e affronta il tema del porsi praticamente della persona nella società, egli è consapevole che l’etica del sentimento si traduce spesso in solipsismo e nella pratica del peggior darwinismo sociale.
I filosofi da secoli tentano di affrontare il problema dell’essere umano, tra mille contraddizioni. Heidegger afferma: “Al di là dell’esame letterale di ciò che i filosofi hanno detto, in pochi sono riusciti a capire ciò che hanno voluto dire. Nel frattempo la civiltà prosegue il declino archiviando tutto ciò che limita o contrasta la piena libertà del corpo.
Nel 1889 Enrico Bergson sostenne alla Sorbona l’esame per il dottorato, presentando come tesi “Il saggio sui dati immediati della coscienza”. Diventerà il suo libro di maggior successo. Egli scrive: “ Per lo più, viviamo esteriormente a noi stessi, scorgiamo del nostro io il fantasma …..viviamo per il mondo esterno anziché per noi, parliamo più di quanto pensiamo..”
L’America, tra il pragmatismo dei suoi filosofi, inclusi gli anacoluti dei filosofi dell’arte, ha contribuito non poco ad avviare la deriva dell’Occidente. Nel libro “Dopo la fine dell’arte” pubblicato da Arthur C. Danto nel 1997,l’autore scriveva: “ ..La Metafisica era priva di senso perché era del tutto scollegata dall’esperienza, nonché dall’osservazione”. In questo modo viene liquidato il profondo pensiero dei filosofi che hanno tentato di definire la natura, l’essenza dell’uomo, i grandi pensatori dell’Occidente liquidati da presuntuoso parvenu.
In realtà la Metafisica evidenzia i nostri limiti , tenta di dare risposte ad aspetti fondamentali della natura umana e dell’esistenza dell’uomo. La società occidentale ha archiviato gran parte dello studio della cultura umanistica, quasi a far tacere la coscienza critica che mette in crisi la realtà contemporanea.
Kant ha preferito porre la libertà fuori dal tempo ed elevare una barriera insuperabile tra il mondo dei fenomeni e quello delle cose in se, perché, egli sostiene, la ragione non è, e non potrà mai diventare popolare
La metafisica si pone il problema d’indagare le facoltà fondamentali dell’essere umano, quindi si traduce in antropologia al massimo livello.
Nicola Cusano nel 1440 scrisse il libro “La dotta ignoranza” , segno che il problema della semplificazione truistica è antico. Ma la contemporaneità, anziché correre ai ripari, incrementa il qualunquismo socio-culturale Nel 2005 Pascal Engel e Richard Rorty pubblicarono “A cosa serve la verità”, compendio di cinismo ed approssimazione culturale che fa il verso a Pilato quando si chiese: “Cos’è la verità?”.
Da tempo è in atto un dibattito sulla fruizione emotiva dell’arte. Alcuni ritengono l’emotività un modo ottimale di affrontare la lettura dell’opera, altri propendono per l’approccio razionale.
Entrambe le opinioni sono apofantiche perché trascurano di considerare le suggestioni a cui siamo soggetti, oltre alla qualità e la natura delle esperienze soggettive.
Kant riduce espressamente lo scaturire della nostra esperienza a due fonti principali. Egli sostiene che innanzi tutto è da considerare la ricettività delle impressioni. Il secondo aspetto è quello che conosce in un oggetto le rappresentazioni, ovvero spontaneità dei concetti.
La conoscenza umana forse è legata a meccanismi mentali ancora in parte sconosciuti. Si da per certo abbia origine dalla sensibilità e dall’intelletto. Mediante il primo gli oggetti ci vengono dati. Con il secondo vengono pensati.
Senza dubbio gioca un ruolo la interiezione che però è poco di aiuto nella interpretazione del fenomeno arte.
Quando Einstein afferma che l’immaginazione è più importante della conoscenza, dice cosa vera perché l’immaginazione è una forma di intelligenza creativa potenzialmente infinita, mentre la conoscenza è per definizione limitata oltreché non sempre corretta.
L’immaginazione non è riducibile alla sola sensibilità e alla ragione, se l’immaginazione creativa nasce esclusivamente dall’esperienza, per così dire si materializza, e non è più pura immaginazione, è simile alla emersione dal fiume carsico creato dal nostro vissuto e dal nostro pensato che ad un tratto emerge con prorompente energia e consente di creare ciò che forse a lungo abbiamo pensato. Ecco perché il vissuto è importante.
L’eristica usata da critici e filosofi dell’arte è un fattore di suggestione, non di conoscenza, con la scrittura sinottica dei cataloghi, si indirizza l’osservatore verso una interpretazione funzionale alla valorizzazione dell’opera il cui contenuto è spesso banausico.
In “Nascita della tragedia” Nietzsche sottolinea l’enorme contrasto, per origine e per fini, tra l’arte dello sculture e del pittore, da lui considerata apollinea, e l’arte non figurativa della musica che considera dionisiaca. Oggi queste distinzioni non hanno forse molto senso, visto la commistione delle arti. La nostra epoca, che si crede superiore, usa l’idea di libertà, anche per l’arte, come un passepartout per ogni forma di devianza.
Il risultato è che l’artista il quale produce forme vuote, è suo malgrado la cifra del tempo che viviamo. Nel 1958 Jean Paul Sartre pubblicò “La nausea” . Nel libro narra del vuoto incolmabile che si stava creando nella società occidentale, la rinuncia ai valori e frustrazione all’origine dello scivolamento di Antonio Roquentin, protagonista del romanzo. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti della Senna, nel frattempo l’occidente non è certo migliorato.
L’assuefazione alla realtà, la dominanza dell’animale che è in noi, rende la mente impermeabile al pensiero. Aristotele sosteneva che l’uomo è un animale razionale, quindi nella misura in cui viene meno la ragione, l’animale prevale.
Non è vero che la cultura renda migliori, fornisce solo la capacità di giustificare le proprie aberrazioni. Scriveva Chanfort: “ il teatro è la prova che gli esseri umani, anziché correggere i propri vizi, preferiscono celebrarli”. Proviamo immaginare cosa scriverebbe Chanfort oggi. Se queste affermazioni appaiono eccessive, pensiamo a quanto poco ha inciso la cultura nei secoli a partire dalla Grecia antica.
Di fronte al crescente degrado della società, non si vedono tentativi di ristabilire un minimo di etica, anzi il degrado non è affatto percepito. Le domande essenziali dell’esistenza sono diventate argomento per umoristi. Nietzsche, nei cui testi si raccoglie la tradizione nella variante moderna, soprattutto positivistica, ha messo in opposizione l’apparenza con l’arte, entrambe modi di espressività dotate di modalità e realtà diverse, arrivando alla conclusione che l’apparenza cancella l’arte, riducendola rappresentazione priva di significato.
La filosofia dell’arte rappresenta l’aspetto pleonastico dell’argomentare.
Rendersi intellegibile è il suicidio della filosofia. Coloro che idolatrano i fatti, nel senso di opere “apparenti”, non si rendono conto che i loro idoli brillano solo di luce riflessa, se ne rendessero conto forse sarebbero sconcertati.
L’ermeneutica culturale, cioè l’interpretazione dei fenomeni sociali, è al servizio dello status quo e del mercato, questo è uno degli aspetti peggiori di una società dell’apparenza.
Come scrive Heidegger non si può spacciare per ragione l’argomentare solipsistico che giustifica la nostra crescente inadeguatezza. Il pensiero è lo strumento per formulare le domandare. Porre domande è un’operazione difficile, la motivazione del domandare è già una parziale risposta.
Non a caso la filosofia di Parmenide, Eraclito, Platone consiste innanzi tutto nel domandare.
Domandare è l’inizio non solo della filosofia ma della civiltà. Senonchè, siamo vincolati da troppo tempo e troppo saldamente alla contemplazione di noi stessi e al soddisfacimento dei bisogni del corpo. Anassimandro ha descritto in modo esemplare i limiti che la carne pone al pensiero. L’intera storia umana si basa sul confronto e soggiogamento della natura .
Nel libro “ Contributi alla filosofia” , Heidegger cita spesso Holderlin, il poeta che, per lui, più di ogni altro ha intuito il futuro di ciò che sarebbe stato possibile se la viltà della carne non avesse preso il soppravvento. L’arte non è stata un argine, ma ha creato il solco entro il quale scendere al livello di ciò che la massa voleva.